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Occhiate di Nonna Ma

occhiate

La pesca, dall’Età del Ferro in poi, non fu una delle principali risorse per gli abitanti della Liguria dell’antichità dediti più alla navigazione in un mare poco pescoso e insediati per la maggior parte all’interno del territorio e non sulle coste troppo esposte alle intemperie e alle incursioni dei predoni.

Abbondanti erano il pesce azzurro e il tonno pescati con uncini di ferro ed anche i coralli ( si dice che la Chiesa di San Giorgio venne costruita dagli abitanti di Portofino nel 1154 grazie agli introiti provenienti dalla vendita di questi ultimi) la cui pesca era nota fin dal IV secolo dopo Cristo.
Risale ai primi decenni del 1100 un documento riguardante lo diocesi liguri che esigevano le decime anche “ de mari”, regolamentando il commercio del pesce.

Alla fine del 1300, dai registri delle pene dell’Archivio di Stato inflitte a pescatori di Portofino, si fa riferimento molto spesso a vendite controllate di tonni, il che fa pensare che fosse il tipo di pescato che prevaleva. Nel 1608 i tonni venivano pescati nel Golfo di Rapallo con autorizzazione del Senato della Repubblica, ma con obbligo a vendere in loco ed un’altra autorizzazione venne data agli uomini di Santa Margherita di pescare liberamente “ con reti, spioni, tremagli e restassi , purché la pesca avvenisse da terra e a un miglio e mezzo dalla bocca della tonnara”.

La prima forma di cooperazione tra pescatori si ebbe nel 1618 quando quattordici uomini di Camogli si misero in società con il concessionario di una tonnara organizzandosi anche in un servizio di guardia. Si narra che dopo molte divergenze per posizionare una tonnara nel Tigullio , a quella di Santa Margherita spettò il primato nel 1628 per la cattura di ben 1701 tonni venduti a Genova per Lire 8.565.18 ! Ma fu la pesca al corallo che segnò un capitolo importante nella storia della pesca, che vide l’autorizzazione rilasciata ad una famiglia ligure legata alla monarchia spagnola da rapporti di affari ad effettuare tale pesca nell’isola di Tabarca di fronte alle coste tunisine da dove però in conseguenza alle ostilità musulmane dovettero fuggire. Trovarono rifugio col consenso di Carlo Emanuele III nell’isola di San Pietro in Sardegna dove fondarono la città di Carloforte dove iniziarono attività marinare e attività artigianali di argenteria e oreficeria legate appunto all’utilizzo dei coralli.

A proposito della grande quantità di tonni presenti nei nostri mari, ricordo la storia che spesso si raccontava a noi bambini di quando un pescatore di San Rocco cadde in mare dal gozzo davanti alla secca del Pesalino (dove ancora oggi viene ancorata la tonnara) e si ritrovò a cavallo di un enorme pesce che venne scambiato per una balena : si trattava di un tonno dalle dimensioni incredibili che finì diritto nella rete tesa dal pescatore! E ancora mi viene in mente il racconto di alcuni pescatori di Camogli che andavano sovente a pescare fino all’isola Gorgona: una volta si trovarono in mezzo ad un branco di acciughe così grande che dovettero smettere di gettare le reti perché la barca era ormai talmente carica da rischiare di affondare!

La ricetta che trascrivo però non riguarda né tonni né acciughe, ma un pesce invernale che spesso veniva cucinato sulla “ciappa” ( una lastra di ardesia messa a scaldare sulla fiamma ) o in pentole di ghisa ( pesanti ma robuste dove il cibo cuoceva lentamente e altrettanto lentamente si raffreddava una volta tolta dal fuoco ).

La ricetta è molto semplice e si tratta di un pesce comunemente pescato nel periodo invernale nel nostro golfo: l’occhiata, termine scientifico in latino Oblada melanura e in spagnolo ( ma non è anche genovese?) besugo.

Ingredienti:
1 occhiata di mezza grandezza a persona
aglio
prezzemolo
olio di oliva
sale

Preparazione: mettere in un tegame i pesci con olio, il trito di prezzemolo e aglio e sale. Cuocere col coperchio a fiamma lenta per circa quindici minuti senza rigirare i pesci. Servire accompagnati da verdure bollite o insalata.